Gestione del cambiamento

Una crisi in dono

Una crisi in dono
10 Marzo 2020

Esiste un sottile filo conduttore fra gli studi di Oliver Sacks, neurologo e scrittore britannico, quello che sta succedendo oggi in Italia con questo virus e la possibilità di imparare qualcosa di importante. Per noi e per tutta la nostra società.

Il mio intento, in questo articolo, è di analizzare questa connessione in modo da poter fornire spunti interessanti per comprendere meglio come funzioniamo.

L’ipotesi di Sacks che voglio prendere in considerazione, confermata poi da alcune scoperte che ne sono derivate, consiste nell’affermare che sono alcune situazioni estreme, patologiche e paradossali a permetterci di meglio comprendere la natura dell’essere umano. E addirittura a scoprirne nuove dimensioni capaci di migliorarci. La consistenza dei suoi pensieri, dei suoi modi di ragionare e di conseguenza, di comportarsi e agire nel mondo, si osservano meglio in condizioni liminari.

Come dire che una situazione di crisi, pur essendo connotata da sfaccettature incontrovertibilmente tragiche e tristi, può essere vista anche come opportunità di scoperta.

Penso che, questo momento storico che stiamo attraversando, parli proprio di questo. E lo fa per più motivi:

  • Ha delineato con chiarezza molto più evidente i diversi tipi psicologici che costituiscono i nostri gruppi. Mi spiego meglio: i tratti del nostro carattere, che assieme al temperamento definiscono la nostra personalità, sono spesso nascosti o poco percepibili. Proprio perché non posti in condizioni estreme, anch’essi tendono a non manifestarsi in tutta la loro espressione. In questi giorni però non è così, e credo che anche voi vi siate accorti di quanto sia più semplice distinguere le persone sulla base dei pensieri e delle parole, così come dei comportamenti, che li rappresentano. Proviamo a darne una descrizione:
  1. Il lamentone: è colui che si lamenta. Della politica, dei comportamenti degli altri. Delle inadeguatezze che lo circondano, spesso senza riconoscersi in esse e congelandosi in quest’unica azione poco proficua. Lamentarsi è bello quanto comodo: ci pone nella condizione di vittime, deresponsabilizzandoci e trovando un carnefice a cui addossare tutte le colpe.
  2. Lo struzzo: colui che vuol far finta di non vedere. Talmente innamorato dei suoi pregiudizi, magari inizialmente anche giusti, tende a sostenere un’ipotesi, poi rilevata come sbagliata dai fatti, anche quando questi gli sbattono addosso come uno schiaffo sul volto. Lo struzzo è colui che rifugge dai problemi, evitandoli, a volte per paura. La conseguenza è ingrandirli e renderli sempre più grandi. Per proporzione inversa diminuirà la sua percezione di poterli affrontare.
  3. Il catastrofico: colui che si rassegna senza azione alcuna. Schiacciato dal disequilibrio formatosi non è in grado di fronteggiare la frattura delle sue abitudini. Lo slancio, invece che riflessivo e di ridefinizione, è quello di una sana disperazione in grado, al pari del lamentone, di crogiolarlo, solo temporaneamente, in una condizione oscillante fra estasi piacevole e lamento depressivo.
  4. L’asociale individualista: è il soggetto che pensa solo a sé e non al gruppo. Espressione perfetta della società attuale questa persona non si sente parte di un collettivo, che ormai rifiuta quasi fosse una chimera, ma individuo solo nel mondo. Non è disposto a perdere nulla per il benessere dei più e anzi si arrabbia nel cedere parti della sua libertà, pur inutili, a favore della vita e della sopravvivenza di qualcun altro.
  5. Il creativo: di animo curioso, pur avendo coscienza della crisi, scorge in essa un’opportunità. Vede possibilità dove gli altri individuano vincoli. Accoglie il cambiamento come segno inevitabile e da esso riparte per chiedersi quali fossero le sue parti vulnerabili. Da esse poi, ricostruisce con ingegno e fantasia nuove logiche, capaci di adattarsi meglio alle nuove circostanze.
  6. L’eroe: colui che mette il bene collettivo sopra ogni altra cosa. La persona che è disposta a perdere le sue abitudini, il suo tempo e parte della sua salute per combattere una guerra più grande. L’eroe è colui che, una volta ascoltata la ragione, la tace per seguire i movimenti del cuore. Non è armato di incoscienza ma di quelle virtù tanto amate dai Greci: il coraggio e la generosità.

Ce ne sarebbero molti altri da citare, ma oggi mi limito a questi. Magari voi, se vorrete, saprete suggerirmene altri.

  • Ci mette nella condizione di rivedere alcune nostre certezze, obbligandoci (con sfumature differenti a seconda dell’approccio che abbiamo – vedi tipi psicologici descritti poco fa) a formulare e scrivere nuove narrazioni. Di per sé, al di là delle difficoltà evidenti che ognuno passa in momenti di crisi, questo è un bene. Lo è perché riesce a scardinare meccanismi incancreniti da molto tempo che altrimenti non si sarebbero mai destabilizzati, bloccando il soggetto o la società stessa in una condizione di stallo e di mancata crescita. Lasciando perdere tutte le scoperte derivanti da errori e momenti di crisi, sia individuale che collettiva, vorrei entrare nello specifico con un aneddoto vicino al pensiero e al lavoro di Sacks: parla di un uomo operato alla spalla destra e perciò impossibilitato ad usare il suo braccio corrispondente. Sulle prime sopraggiunse la crisi e un senso di inefficacia, poi la possibilità di usare meglio il braccio sinistro e addirittura le dita dei piedi. Se l’equilibrio nella deambulazione all’inizio lo poneva fuori asse, proprio per il braccio appeso al collo, piano divenne stabile, ma diverso. Come se si stessero creando nuovi equilibri, capaci di promuovere a loro volta modelli diversi, abitudini differenti, addirittura un’identità differente. Nei programmi e nei circuiti del suo cervello stavano avvenendo dei cambiamenti in gradi di rivelargli nuove parti di sé. Difetti, disturbi e malattie, così come momenti di crisi generale, possono in questo senso avere un effetto paradosso, portando alla luce risorse, sviluppi, evoluzioni e forme di vita latenti che, in loro assenza, potrebbero non essere mai osservati e immaginati.

  • Si ricollega ad un concetto molto chiaro nel Buddhismo. Nell’immagine iconografica definita come Ruota dell’esistenza, è possibile trovare non solo i 3 grandi veleni del cosmo ma altresì i 12 elementi della coproduzione condizionata e i 6 mondi. È proprio su questi che vorrei soffermarmi. I mondi, che possono essere osservati sia in modo letterale che in senso figurato (a rappresentare stati mentali diversi), si dividono fra superiori ed inferiori. I mondi superiori sono costituiti da quello degli esseri umani, quello dei semi-Dei e quello degli Dei. Quelli inferiori sono invece costituiti da quello degli animali, quello degli spiriti famelici e dagli inferi. Non mi soffermerò in quest’articolo a parlare di ognuno di essi ma concentrerò la mia attenzione su quelli superiori. Ad una prima analisi credo che tutti vorremmo appartenere a quello degli Dei, o degli Asura, le semi divinità. Peccato che queste ultime, ad esempio, pur vivendo più a lungo e meno afflitte da malattie e quant’altro, in parte siano soggiogate da continue lotte intestine determinate da invidia, passioni irrefrenabili e desiderio di supremazia. Inoltre, per quelle più alte di ordine divino, la condizione di privazione dal dolore, le rende incapaci di produrre azioni karmicamente fruttifere, cosa necessaria per un’autentica liberazione. Solo il regno umano si pone come l’unico capace di liberarsi dalla ruota dell’esistenza, proprio per il porsi a cavallo fra sofferenza e riflessione profonda spesso generata dall’incontro con il Dharma, l’insegnamento del Buddha. Questo per dire che proprio la dimensione della crisi, e della sofferenza, se affrontata con il giusto spirito e il potere della conoscenza, può divenire un ponte verso stati personali più elevati e in direzione di una società più sostenibile.

  • La dimensione della crisi (in questo caso l’ammalarsi, le perdite economiche e lo sgretolamento delle relazioni sociali determinate dall’isolamento) è capace di ridefinire le nostre priorità, proprio in virtù della privazione di quelle cose che sino a prima del suo sopraggiungere erano dimenticate. Si pensi all’importanza della salute, a quella del proprio tempo. L’importanza di un abbraccio, di stare con i propri cari o anche solo quella di sorridere al tavolo con i propri amici. Ridefinire le proprie priorità significa ripensare alla propria esistenza e cogliere l’opportunità, qualora lo volessimo, di distribuire in modo diverso il nostro tempo.

Insomma, ancora una volta la differenza fra oggettività e soggettività si pone in seno alla nostra capacità di prendere una decisione.

Scegliere se vedere quello che solo giace sopra la soglia del mare, e che a molti fa male. O scegliere ciò che giace nascosto, invisibile ai più.

La possibilità di morire in una crisi, o la difficile volontà di vederci una risorsa, un’opportunità, un braccio proteso in grado di farci emergere dal fango che forse in parte ci ricopriva.

Un modo per tornare ad esplorarci, per osservarci meglio e sentirci di più, insieme agli altri.

Ti interessa il corso
"Gestione del cambiamento"?
LEGGI I DETTAGLI DEL CORSO