Lo famo strano?

DIVERSITY AND INCLUSION: UN’OPPORTUNITÀ DA NON PERDERE
La “monogamia” fa acqua da tutti i buchi.
Nel 2020 bisogna spogliarsi e scatenarsi in un’orgia indicibile per comprendere la vera evoluzione della specie. Soprattutto se questa è imprenditoriale.
Un’ammucchiata di generi e colori diversi.
Uomini e donne.
Europei, americani, asiatici e africani.
Alti e bassi.
Ingegneri e letterati.
Lingue, cervelli e pensieri si devono arrotolare come solo una limonata nel caldo sole d’estate sa porre sollievo.
Se esci con un simile sei out.
Se il tuo gruppo rappresenta una specifica subcultura siete out.
Svegliatevi porca miseria!
Mescolatevi accidenti.

Allora, vi presento la ricetta:
prendete un frullatore, meglio se di marca, e miscelate gli ingredienti a velocità massima.
Sceglieteli con cura.
Gente che possiede la logica.
Soggetti abili nell’organizzare.
Persone creative, duttili e flessibili.
Trovate un problem solver.
Un senior, colmo di esperienza, e un junior, talvolta ricco di speranza, voglia di fare e nuovo sguardo.
Un positivo e un negativo: quello che insomma vede il sole anche nelle giornate più buie, e quello che scorge le tenebre pur nella luce.
Prendete un tecnico, un filosofo e un’artista. Se potete affiancate loro un biologo. O qualcuno che conosce al meglio la natura degli animali. Spargete sul composto qualche psicologo e un ingegnere per regolare il tutto. Quanto basta ovviamente.
Il risultato si chiama successo. Sviluppo. Innovazione.
Guarda caso, oggi più che mai, necessita di un ingrediente che accomuna tutti quelli citati poc’anzi.
La diversità.
Diversità: l’essere diverso, non uguale né simile.
Il termine deriva dal latino diversus, che propriamente significa vòlto altrove, diverso.
Se scaviamo ulteriormente nel suo significato troviamo:
- Contrasto parziale o totale fra due o più cose, o persone.
- Motivo di opposizione o di conflitto.
- Condizione di chi è considerato da altri, o considera se stesso, estraneo rispetto ad una presunta normalità di provenienza, propensione sessuale, comportamento sociale o scelta di vita.
Interessante vedere quindi la sua doppia natura: da una parte apparentemente oggettiva, dall’altra frutto di presupposizioni, percezioni e rappresentazioni soggettive.
Una domanda che ci potremmo porre è: siamo diversi, ma in cosa lo siamo?
Siamo diversi nel genere.
Nella nazionalità.
Nell’età.
Nell’educazione ricevuta.
Negli studi effettuati.
Siamo diversi nell’estrazione sociale ed economica.
Nel modo di pensare.
Nelle credenze e nelle convinzioni.
Nelle appartenenze.
Siamo diversi nelle intelligenze, nelle conoscenze e nelle competenze.
Siamo diversi in molte cose, ma lo siamo in virtù della nostra uguaglianza.
Quella di “essere”.
Di essere umani.
All’interno delle vene di ognuno di noi scorre lo stesso sangue. Siamo composti da molecole che hanno la medesima struttura che, guarda caso, assomiglia alla stessa maglia del cosmo.

Tutti quanti noi sogniamo, ci amiamo e costruiamo mondi mentre fra inenarrabili avventure attraversiamo il tempo.

Così come, e ci tengo a ricordarlo a tutti, succede la stessa cosa per tutti gli esseri del creato!
Dovremmo anche essere (ipoteticamente) uguali dinanzi alla legge.
Dice infatti la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo:
“Tutti gli uomini nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Credo che dovremmo ricordarcelo ogni giorno e dovrebbero ancor più ricordarselo due categorie di persone:
- Quelle che la legge la devono esercitare.
- Quelli più fortunati, che si dovrebbero occupare di chi a differenza loro versa in condizioni più avverse.
Siamo uguali nella diversità, che ci rende unici ed originali.
La sfida è quindi non tanto quella di condividere valori o credenze universali, ma trovare la giusta convivenza fra essi.
Essere uguali nonostante e grazie alle nostre diversità.
Una diversità che però, per usare un gioco di parole, non deve produrre differenze.
L’uguaglianza, nella mia modesta opinione, dovrebbe rifuggire da due pericoli:
- L’omologazione: ciò che appiattisce e ci priva dei nostri tratti contraddistintivi. Ciò che non esalta la nostra originalità e i nostri particolari modi di percepire e agire. Ciò che non accoglie la diversità, facendone
- La differenziazione: ovvero, come detto poc’anzi, ciò che promuove disuguaglianza. Ogni atto che discrimina, che pregiudica o indebolisce colui o colei che si presenta in modo diverso rispetto all’utopica condizione normale.
Ho letto una frase in un articolo che mi ha colpito molto:
“La diversità non è un valore, è l’uguaglianza il valore della diversità”.
Oggi più che mai, da formatore aziendale e pubblicista, mi rendo oltretutto conto che molte delle aziende più performanti e basate sul principio del benessere sono fondate sul principio della diversità e dell’inclusione.
Chiaramente, quello che l’esperienza decennale sui gruppi di lavoro e sulla leadership mi può dire, è che la diversità e l’inclusione è una conditio sine qua non, ma non un elemento sufficiente per produrre grandi cambiamenti e performance davvero differenti.
Di sicuro è una delle molte variabili necessarie per produrre innovazione e affrontare nel migliore dei modi la sfida relativa alla complessità in cui siamo immersi come persone e come professionisti.

A tal proposito ho pensato di riportare tre RICERCHE in grado di sostenere tale ipotesi.
- Una ricerca pubblicata a gennaio del 2018 da McKinsey & Company dimostra che la diversità culturale aumenta la redditività. La ricerca, denominata “Delivering through diversity”, e basata su dati 2017 di un campione di 1000 aziende mondiali di vari settori, ha segnalato come le aziende con dirigenti di etnie diverse riescono, nel 33% dei casi, a sovraperformare il proprio settore di riferimento in termini redditività. Le aziende a livello mondiale con il consiglio di amministrazione più etnicamente diversificato ottengono, nel 43% dei casi, maggiori profitti. E quelle aziende con una mancanza di diversità organizzativa rischiano, nel 29% dei casi, di non raggiungere una redditività superiore alla propria media di settore.
- Rocío Lorenzo, partner e amministratore delegato del Boston Consulting Group, con sede a Monaco.
Negli ultimi quindici anni, Lorenzo ha lavorato a lungo nel settore delle telecomunicazioni e dei media, fornendo consulenza a dirigenti senior in Europa e negli Stati Uniti sullo sviluppo di strategie, programmi di crescita e trasformazioni su larga scala.
Nella sua esperienza ha notato come le squadre di lavoro più eterogenee, malgrado un piccolo sforzo aggiuntivo iniziale, siano in grado di produrre idee più fresche e innovative.
Nel suo discorso sul palcoscenico di Ted la consulente cita ad esempio lo studio condotto dalla Technical University di Monaco, dove sono state analizzate 171 aziende in Germania, Austria e Svizzera (ora le aziende sono divenute 1600 in altre cinque nazioni del mondo) e all’interno del quale sono state poste due domande:
- Quanto siete innovativi e quanto questa innovazione si traduce in effettivi guadagni?
- Quanta diversificazione ospitate? (analizzando 6 fattori differenzianti specifici: età, educazione, genere, carriera, nazionalità e imprese)
I risultati prodotti dalla ricerca erano stupefacenti e andavano oltre le aspettative.
Le aziende più diversificate erano le più innovative, punto e basta!
La correlazione di causa non è chiaro in che verso vada, per questo si è dedotto che:
la diversificazione promuove l’innovazione e viceversa.
- Nel 2006 Margaret Neale della Stanford University, Gregory Northcraft dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign e Katherine W. Phillips hanno iniziato a esaminare l’impatto della diversità razziale sui piccoli gruppi decisionali in un esperimento in cui la condivisione di informazioni era un requisito per il successo. Oggetto della ricerca erano studenti universitari che frequentavano corsi di affari all’Università dell’Illinois. Misero insieme gruppi di tre persone – alcuni costituiti da tutti i membri bianchi, altri con due bianchi e un membro non bianco – e gli fecero eseguire un esercizio relativo ad un misterioso omicidio. Si sono assicurati che tutti i membri del gruppo condividessero un insieme comune di informazioni, ma hanno anche fornito a ciascun membro importanti indizi che solo lui o lei conosceva. Per scoprire chi ha commesso l’omicidio, i membri del gruppo dovevano condividere tutte le informazioni che possedevano collettivamente durante la discussione. I gruppi con diversità razziale hanno superato significativamente i gruppi senza diversità razziale. Stare con altri simili ci porta a pensare che tutti abbiamo le stesse informazioni e condividiamo la stessa prospettiva. Questa prospettiva, che ha impedito ai gruppi completamente bianchi di elaborare efficacemente le informazioni, è ciò che ostacola la creatività e l’innovazione.
Questa e altre simili ricerche hanno portato al poter affermare che la diversità sembra condurre a una ricerca scientifica di qualità superiore.
Imprenditorialmente, ma potrei dire anche scolasticamente, promuovere la diversità non deve però tradursi nel solo diversificare i team e i gruppi di lavoro, ma altrettanto avere la capacità di osservare e promuovere la specificità di ogni soggetto.

Come disse bene Einstein “Ognuno di noi è un genio. Ma se si giudica un pesce dalle sue abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la vita a credersi stupido”.

Se per un attimo volessi invece scivolare nel pensiero medio-orientale ricordo di aver letto, anni or sono, che l’altro è uno specchio.
Uno specchio che ci permette non tanto di scoprire il nuovo ma di scoprire noi stessi.
È infatti solo grazie alla differenza che si può comprendere la natura di qualunque cosa.
In cibernetica l’informazione viene per l’appunto definita come una differenza che genera una differenza.
È impensabile comprendere la natura di qualcosa se non esistono termini di paragone per farlo.
Pensate ad un numero, uno qualsiasi. Che natura potrebbe avere, come potrebbe esistere, se non fosse preceduto e seguito da due numeri diversi che sono altro da sé.
Siamo quindi in base a ciò che non siamo.
Credo che non esista nulla di più potente al mondo per poter affermare il valore della diversità.