Gestione del cambiamento

Gli spazi liminali, nella vita e nel percorso professionale di una persona

Gli spazi liminali, nella vita e nel percorso professionale di una persona
19 Febbraio 2025

C’è un fatto, un fatto importante, che i recruiter spesso ignorano.

A dire in vero lo ignorano in tanti.

Lo ignorano nonostante abbia un’importanza direi essenziale.

Più che un fatto è però un luogo, un luogo dove a volte ci si perde dentro.

Questo luogo è lo spazio liminale.

Gli spazi liminali sono (anche) luoghi di passaggio, proprio come quello che vedete nella foto.

Sembrano sospesi nel tempo, e nello spazio, proprio in virtù dell’apparente non dire alcunché e delle loro regole che spesso sovvertono quelle ordinarie.

Facciamo ordine.

La parola liminale deriva dal latino limen, che significa soglia.

A seconda dei contesti, questo vocabolo ha diverse forme di significato, pur non invariando nella sostanza.

In psicologia la liminalità si riferisce ad esempio alla soglia della coscienza e della percezione.

La liminalità è anche la soglia fra la partenza e l’arrivo.

In antropologia, come ci ricorda Arnold Van Gennep, è la rappresentazione dei riti di passaggio, che traghetta ad esempio dall’adolescenza all’adultità.

Liminale è anche l’alba

o il tramonto.

O uno zombie, che sta fra vita e la morte.

Uno spazio liminale è quindi uno luogo di transizione, come potrebbe esserlo un aeroporto, ma altrettanto un mero corridoio.

O un lutto, segno della morte, che come la nascita è spazio liminale.

Nella carriera di una persona cosa sono invece gli spazi liminali?

Essi sono tutti quei momenti di passaggio fra un lavoro e l’altro.

Sono quei periodi in cui le carte si rimescolano e in cui l’individuo torna a far i conti con se stesso.

Sono altresì gli intrecci e le storie che si muovono nel sottobosco del non detto, che però meglio del dichiarato ci mostra dettagli della persona che sono rilevanti sempre.

Ecco, penso che dovremmo parlare di più degli spazi liminali.

Sono luoghi dove ci si perde, vero. Ma sono anche luoghi dove ci si trova, forse perché privi di quelle distrazioni che non ci fanno guardare dentro.

Se pensate a un corridoio, spesso la sua natura corrisponde al mero condurci.

In un corridoio non vi si sta.

Piuttosto a un corridoio si arriva per andare verso. O ci si passa per tornare.

Eppure, in quel moto, sospeso nel tempo, succedono cose.

Sarà perché non vi sono distrazioni: nessun vociare delle stanze vicine, nulla da fare, poche cose che sottraggono all’attenzione. E così, senza che nemmeno ce ne si accorga, ci si rivolge a sé, e ci si guarda un po’.

“La vita stessa significa separarsi e riunirsi, cambiare forma e condizione, morire e rinascere. È agire e cessare di agire, aspettare e riposare, e poi ricominciare ad agire, ma in un modo differente. E vi sono sempre nuove soglie da varcare: la soglia dell’estate e dell’inverno, della stagione o dell’anno, del mese o della notte; le soglie di nascita, adolescenza, maturità e vecchiaia; la soglia della morte e quella dell’aldilà – per coloro che vi credono”.

Arnold Von Gennep

A pensarci bene lo stesso vale nel linguaggio.

Come potrebbero mai aver senso un discorso se non vi fossero pause, e silenzi, fra una parola e l’altra.

A un primo acchito parrebbe che siano solo le parole a dare senso. Eppure, se ci riflettiamo bene, sono gli spazi (liminali) fra le parole ad assegnare loro una propria valenza.

“Non cerchiamo più la “causa” degli eventi nella natura di un singolo oggetto isolato, ma nella relazione tra un oggetto e l’ambiente circostante”

Kurt Lewin

Lo spazio liminale è quel momento di passaggio in cui non siamo esattamente parte dello stato precedente, ma nemmeno siamo passati a quello successivo.

È il purgatorio dell’esistenza.

La soglia dove il tempo si dilata e poi si sfuma.

Il luogo dove una persona di dichiara attraverso il non agire, che poi è sempre un agire, ma di natura differente.

Deprivati della loro utilità e della presenza umana sono liminali per eccellenza gli spazi che inducono a dissociazione, impossibilità di collocazione, mancanza di correlazione tra ambiente e funzione.

Eppure ciò che pare inutile, come uno spazio fra le parole, induce a una reazione psicologica di una certa utilità. Anche nota come “unheimlich”, che è la parola tedesca contraria a “heimlich”, ovvero confortevole, familiare, questa sensazione di profonda angoscia da inconsueto, che sembra nascere proprio dall’incapacità di assimilare il familiare per via di un elemento di disturbo, può condurre per mano l’essere umano verso profonde riflessioni, su di sé e su ciò che intorno a sé, tanto nel guardare il passato quanto nell’immaginare il futuro.

Altrettanto, stare in questi luoghi, permette in virtù di una sensazione di profonda angoscia da inconsueto, che sembra nascere proprio dall’incapacità di assimilare il familiare per via di un elemento di disturbo, di smascherare i falsi Dei, dell’esistenza e della nostra relazione con essa.

E se, per citare Baudrillard,

“é pericoloso smascherare le immagini, perché dissimulano il fatto che dietro di esse non vi è nulla”

allora lo spazio liminale può aver anche il compito di risvegliarci dagli inganni che ci conducono a vivere la vita con un significato che solo ora comprendiamo come anomalo e perché no desueto.

È lo spazio liminale che può quindi farci ripensare al lavoro, ma non solo nei dettagli, quanto nella più intima relazione con abbiamo con esso.

Può farci ripensare al nostro spazio nel mondo e nell’universo, che forse non è che un infinito spazio liminale.

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