Maluma e Takete

Chi è Maluma e chi è Takete?
Sapete dirmi quale figura chiamereste Maluma e quale Takete?
La maggior parte delle persone associa Maluma alla figura viola e Takete a quella arancione.
Perché?
Perché ogni parola è percepita dal nostro cervello come un’immagine, una forma, e solo successivamente le viene associato un significato.
🔬La deduzione nasce nel 1929, quando Wolfgang Köhler compie un esperimento sulla fonoestesia: chiedere a un campione di persone di associare questi due nomi a due diverse forme, una formata da linee rette e spigolose, l’altra da linee curve e morbide.
Lo stesso esperimento è stato ripetuto nel 2001 da Vilayanur S. Ramachandran ed Edward Hubbard, neuroscienziati dell’Università della California, con le parole Kiki e Bouba. Il fenomeno sarebbe dovuto principalmente al modo in cui le due parole vengono dette: pronunciando la parola “Kiki” la bocca fa un movimento veloce e le labbra rimangono piuttosto strette, mentre pronunciando “Bouba” le labbra si aprono maggiormente, facendo prendere alla bocca una forma più rotonda.
Non ci credete? Fate una prova guardandovi allo specchio (io l’ho fatto🤪)

🎶Il suono Takete, come Kiki, è duro e spigoloso come la figura, mentre Maluma, così come Bouba, risulta rotondeggiante, morbido, sinuoso. Da una parte i suoni di “t” e “k”; dall’altra ma “M” sensuale e la “u”. Potete fare questo esperimento a casa e cambiarne ancora una volta i nomi: Kati e Lollo; Tipti e Muono e così via… vedrete.
❗️Dunque, il suono di una lettera, di una sillaba, di una parola è in grado di evocare, con forza, un carattere significativo che desideriamo assegnare a un contenuto.
Le parole si scelgono con perizia, per suscitare con altrettanto precisione le emozioni che desideriamo vivano i nostri lettori o uditori.
Con Takete possiamo esprimere compattezza o esortare all’azione.
Con Maluma possiamo consigliare o creare un clima collaborativo.
Questo consiglio può essere utile anche nelle vendite:

🍦Servite lo stesso gelato: uno lo chiamerete Frosh e uno Frish.
Quale è il più cremoso?
Probabilmente la risposta sarà Frosh 😉
Altre ricerche sull’utilizzo del fonosimbolismo applicato ai nomi dei brand dimostra che la struttura fonetica di un nome influenza la percezione di un prodotto da parte del consumatore.
Il Futurismo ha giocato molto con questo concetto, ed in particolare grazie all’invenzione di Filippo Tommaso Marinetti, la parola diviene libera dalle regole sintattiche e diventa arte visiva esplorando il legame forma / suono / emozione.

Sono diversi gli studi che ci illustrano come le parole, prima di essere semplici descrittori, si rivelino come costruttori di realtà.
Come disse Heidegger la capacità di comprendere noi stessi, gli altri e il mondo che ci circonda è direttamente proporzionale al numero di parole che abbiamo a disposizione. Non è possibile avere pensieri a cui non corrisponda una parola, così come risulta difficile pensare di riconoscere un’emozione qualora non avessimo un termine da consegnargli. Come dissero anche i più grandi filosofi del linguaggio quest’ultimo non descrive la realtà, ma la organizza e la costruisce. Più è vasta la nostra terminologia, e la nostra consapevolezza, più sarà profonda la conoscenza di sé e la possibilità di comprendere il mondo.
🤓 Lo stesso meccanismo di Takete e Maluma vale ovviamente per suoni e colori. Anche per i font che utilizziamo nel nostro brand o per le parole che utilizziamo durante una conferenza.

Ci chiediamo “cosa vogliamo comunicare” quando operiamo una scelta di segno o grafica?
Ne siamo davvero consapevoli?
Cadere nel tranello del voler dire qualcosa, ma esprimerne un’altra, è più semplice di quanto si possa credere…