Leadership, mele marce e carceri

Le cosiddette “mele marce” sono una responsabilità delle aziende?
Esistono davvero o sono i contesti a formarle?
Lo psicologo Le Bon, parlando di psicologia delle folle, menzionava già a fine Ottocento il pericolo di perdere la propria soggettività a favore del carattere generale proposto dal gruppo di riferimento.
Sulla stessa scia nel 1971 lo psicologo Philip Zimbardo condusse il famoso ESPERIMENTO DELLA PRIGIONE DI STANDFORD.

L’esperimento prevedeva che fossero assegnati ai partecipanti i ruoli di GUARDIE e PRIGIONIERI all’interno di un finto ambiente carcerario fedelmente riprodotto all’interno dell’università di Stanford, dove furono condotti bendati.
Il gruppo era costituito da 12 guardie 12 prigionieri, agghindati con tutte le accortezze del caso per promuovere la maggior impersonificazione nel ruolo e quindi conseguente de-individuzione degli stessi partecipanti.
L’esperimento è stato interrotto il 6° giorno (invece che il 15°) per disordini eccessivi e violenza efferata delle guardie nei confronti dei prigionieri.
La domanda è: Possono persone normali divenire terribili aguzzini se messe nelle giuste condizioni?
E ancora:
Possono professionisti di qualità, per non dire brillanti, divenire inerti, o peggio mele marce, se inseriti in un ambiente di lavoro malsano?
Pensate che ci fossero già potenziali istinti violenti e disumani dietro queste guardie o che sia stato l’ambiente e l’assegnazione dei ruoli a renderle tali?
Questo esperimento ha avuto ulteriori risvolti. Ad esempio:
Lo stesso Zimbardo è risultato vittima del suo esperimento cadendo nella trappola della de-individuazione. Il “gioco”, che diveniva di giorno in giorno sempre più violento, fu interrotto una sera quando la sua fidanzata (psicologa anch’essa), portata a vedere dall’esterno l’esperimento, si rese conto di quello che accadeva e della violenza disumana che stava venendo agita dalle guardie. Subito rimproverò il suo partner che d’improvviso si rese conto cosa stesse promuovendo, interrompendo immediatamente tutto il teatro creato. Anche lui era diventato parte dell’esperimento chiudendo gli occhi in modo inconsapevole davanti a tali atrocità.
Questa inconsapevolezza mi porta a pensare che anche una leadership aziendale potrebbe non rendersi conto di come è proprio il suo operato e il modello da lui proposto a produrre condizionamenti significativi nei suoi collaboratori, divenendo anch’esso simile a loro o comunque parte del disastro.
Pare altrettanto chiaro che se il contesto ha la capacità di influenzare in modo negativo le persone, rendendole mele marce, ha altresì la possibilità di farlo in modo positivo, trasformando risorse poco valide in eccellenti.
Questo per dire che la dinamica vale sia nel bene che nel male.

Zimbardo a seguito dell’esperimento coniò il termine EFFETTO LUCIFERO per designare il processo per cui l’aggressività è fortemente influenzata dall’ambiente in cui è inserita.
Il contesto determina in parte le condotte soggettive.
Ciò che si deduce è perciò il modo in cui si sottostima l’influenza sociale cercando invece di spiegare i nostri comportamenti esclusivamente in termini di tratti della personalità.
L’esperimento può essere ancora ad oggi considerabile come un’icona della ricerca psicologica.
Non mancano ovviamente le critiche mosse: ad esempio quella tale per cui il campione non era sufficientemente rappresentativo o ancora che i partecipanti siano stati in qualche modo indotti dallo stesso ricercatore nelle condotte violente.
Ulteriore dinamica da prendere in considerazione, per rimanere in tema di condizionamenti, e in questo senso è il PRINCIPIO DI RIPROVA SOCIALE.

Descritto bene da Cialdini nel libro le armi della persuasione questo principio ci riporta in modo evidente alla sostanziale relazione che esiste fra noi e gli altri.
Tale principio prevede che:
- Se sono indeciso tenderò a seguire ciò che fanno gli altri.
- Se gli altri fanno qualcosa deve essere giusta. Se non la fanno sarà sbagliata.
Perché però seguire le idee altrui sottacendo le proprie?
- Perché non ci fidiamo delle nostre idee (causa endogena).
- Perché abbiamo paura di essere esclusi dal gruppo (causa esogena).
L’ESPERIMENTO DI ASCH altrettanto ci illustra al meglio questa dinamica di condizionamento.
Questo ovviamente non è sempre vero ma ci può indicare molte delle nostre posizioni in alcuni momenti della nostra quotidianità.
Il problema oltretutto è che, una volta presa una decisione seguendo il movimento altrui, il rischio è di non metterla in discussione, pur sbagliata o lontana dal proprio essere, sempre seguendo un altro principio indicato da Cialdini: quello della COERENZA.
Tale principio ci induce, al di là dei condizionamenti, ad evitare di cambiare rotta proprio perché risulta essere più semplice essere coerenti con le vecchie scelte piuttosto che metterle in discussione.