Gestione delle emozioni

Il valore della speranza

Il valore della speranza
8 Gennaio 2024

Della speranza l’uomo si è sempre occupato. 

Lo hanno fatto i filosofi, i teologi, gli psicologici e ovviamente l’hanno fatto e continuano a farlo le persone comuni.

Secondo Shimanoff[1] il termine speranza è una delle parole più frequentemente menzionate nelle conversazioni di tutti i giorni: le persone sperano nel raggiungimento di un bene o nell’evitamento di un male, quasi come tendenza naturale.

“Spero di stare meglio”.

“Spero che le cose vadano meglio”.

Questi sono solo alcuni possibili esempi.

In alcune dimensioni di pensiero puramente razionalista si è pensato che la speranza fosse un valore negativo, perché fondamentalmente ritenuto foriero di un atteggiamento passivo nei confronti della vita, quasi che la speranza fosse un semplice ottimistico attendere che le cose vadano meglio invece dell’impegno ad affrontare le avversità.

La verità è però che quando utilizziamo questo termine non ci riferiamo a un pensiero magico, grazie al quale tutto si trasformerà in meglio come in un incantesimo.

Piuttosto parlare e vivere la speranza significa tendere al meglio e concedersi la possibilità che le cose accadano.

Pare chiaro che la speranza debba essere accompagnata dall’azione impegnata, ovvero da un sano pragmatismo capace di far muovere le cose.

L’aspetto interessante consiste però nel fatto che questo pragmatismo necessita proprio della speranza per essere azionato al meglio.

Nel 1964, il professore canadese di psicologia Victor Vromm, elaborò un modello che sostiene che quando si compie una scelta, un elemento importante e ciò che ci motiva maggiormente è il nostro perché personale. Vromm utilizza infatti una formula per calcolare la spinta motivazionale.

La formula ideata da Vromm è: Motivazione = Aspettativa x Valenza

ASPETTATIVA: si riferisce all’aspettativa di riuscita, cioè alla credenza di un individuo che un certo sforzo condurrà al raggiungimento di un determinato obiettivo. L’aspettativa si basa su probabilità soggettive, come ad esempio l’autostima. 

Quando immagino di realizzare il mio obiettivo quanta fiducia ho nel fatto di poterci riuscire?

L’aspettativa influisce sull’entusiasmo in qualsiasi attività umana, e l’entusiasmo è il punto di partenza da cui si origina il coinvolgimento necessario ed imprescindibile per realizzare qualcosa di unico e accattivante.

Ora capite che questo aspetto è legato al pensiero positivo, alla speranza, al concedersi che le cose possano andare bene.

L’Aspettativa va poi unita alla Valenza, ovvero al valore che una persona assegna alla ricompensa che otterrà in seguito al suo comportamento e al lavoro svolto.

VALENZA: Non si riferisce al valore reale della ricompensa, ma il valore percepito della ricompensa. 

Quando immagino di realizzare il mio obiettivo come mi sento? 

Una volta raggiunto l’obiettivo, che benefici avrò?

Queste domande, di tipo potenziante, mi aiutano a fare chiarezza sul perché voglio raggiungerlo e anche se la motivazione è esterna o interna.

L’etimologia stessa della parola speranza ci rimanda a un tendere verso: dal latino “spes= speranza”, a sua volta collegato alla radice sanscrita “spa= tendere verso una meta”. Tendere verso un miglioramento, a partire da una condizione di malessere, frustrazione, insoddisfazione, anche paura e angoscia. La definizione di speranza contiene quindi nozioni individuali, orientamenti futuri, implica partecipazione attiva da parte dell’individuo e rappresenta la possibilità di un risultato positivo.

Uno dei simboli che invece rappresenta la speranza è l’àncora. Essa entra nel sistema delle allegorie cristiane, dipinta frequentemente nelle catacombe, come simbolo di speranza, poiché aiuta nei pericoli nello stesso modo che la speranza – sentimento di confidenza – sorregge nell’aspettazione di un bene e aiuta a soffrire.

A tal proposito, proprio partendo da questa immagine, è bene ricordare come Korner[2] e McGee[3] hanno documentato la relazione tra la speranza e la sopravvivenza degli ebrei nei campi nazisti. 

Sulla scia di quei primi studi, la dimensione della speranza è stata considerata come fattore fondante la relazione di cura e pertanto approfondita nelle sue componenti e qualità dal punto di vista delle persone malate. Una delle definizioni che ne deriva è:

“forza vitale dinamica multidimensionale caratterizzata da un’aspettativa fiduciosa, ma incerta, di raggiungere un bene futuro che, per la persona che spera, è realisticamente possibile e personalmente significativo”. 

In particolare è stato mostrato che vivere con speranza è un fattore significativo che aiuta le persone ad adattarsi alla malattia, a ridurre lo stress e a migliorare il benessere psicologico e la qualità della vita[4].

La mancanza di speranza, definita come percezione di una situazione insormontabile dove nessun obiettivo sembra raggiungibile, è associata invece a depressione e al desiderio di affrettare la propria morte.

Per aiutare coloro che non credono nella speranza, e non la osservano nel suo accompagnarsi all’azione impegnata, rimembro una frase che lessi in un articolo di cui non ricordo l’autore:

la mente nel sogno e i piedi per terra”.


[1] Shimanoff S. Commonly Named Emotions in Everyday Conversations. Perceptula and motor skills. First Published April 1, 1984 Research Article.

[2] Korner I. Hope as a method of coping. J Consulting and Clinical Psychology 1970; 34,2:134-139

[3] Korner I. Hope as a method of coping. J Consulting and Clinical Psychology 1970; 34,2:134-139

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