Il re è nudo!

Nelle storie che mia nonna, oggi novantaseienne, mi racconta, ve n’è una che più fra tutte mi fa sorridere.
Narra di come, da fanciullo e poche primavere alle spalle,
volavo leggiadro,
da una stanza all’altra, fiero della mia nudità.
Senza vesti ero libero,
scevro da tutte quelle infrastrutture che, aimè, anno dopo anno mi avrebbero coperto facendomi credere un re.
Ma io ero un bambino, e non avevo certo bisogno di sentirmi imperatore.
Ero già felice così.
Mi bastava fermarmi e giocare con i miei pensieri per essere felice.
Erano loro i miei giocattoli preferiti.
Non sono mai stato tanto normale, basti pensare che al posto di ascoltare l’omelia in chiesa mi chiedevo perché fossi proprio in questo corpo piuttosto che in un altro.
Pazzo?
Forse sì, o magari solo più sensibile.
Di una sensibilità che se per qualcuno potrebbe sembrare disgrazia, ne ho fatto quadri e opere d’arte.
Addirittura, ad oggi, un lavoro.
Una missione.
Pazza e spudorata aggiungerei.
Sono cresciuto e ho commesso tanti di quegli sbagli che potrei scriverne una bibbia.
Ne vado fiero.
Ho sempre amato essere una pecora nera.
Mi rendevo conto che quel colore,
tanto odiato dai più,
si abbinava con tutto.

Forse perché al posto del giudizio,
sapevo incuriosirmi.
E questo mi portava a passeggiare tanto con i nobili,
tanto con quegli amici, per me fratelli di sangue, che incontravo ogni giorno sulla strada.
La strada, che illuminata dalle lune storte che ponevano luce alle mie notti, mi ha insegnato ad essere coraggioso.
A non avere paura degli altri. Del loro giudizio.
Ma soprattutto del mio.
Del nostro.
Quello che,
feroce,
spesso divora la parte più intima che ci costituisce insieme all’alba dei nostri desideri più profondi.
Ho collezionato tante di quelle cazzate che potrei farci un album della Panini.
Mi sono divertito.
Ho amato.
Pianto.
Sentito,
soprattutto di essere vivo.
Poi, come se una verga mi frustasse, ho capito che tutta questa follia, tanto ripudiata dai più, poteva essere una risorsa.
Un presente da donare al mondo.
E così ho iniziato a scrivere.
A educare e formare, viaggiando insieme alle persone per crescere con loro.
Oggi sporco di inchiostro il foglio per liberare il mio spirito e lasciarlo muovere nel mondo.

Il filosofo del linguaggio Ludwig Wittgenstein diceva che le parole sono come pallottole.
Io le mie spero tutt’al più siano come supposte: in grado di consegnare qualcosa di buono a chi ne ha bisogno. Quasi fossero una cura.
Vi siete mai chiesti,
una volta pronunciate le vostre, di parole,
o i vostri pensieri,
dove finiscano?
Io lo faccio ogni giorno.
Perché,
che lo crediate o meno,
anche loro hanno una materia.
E come ogni cosa che possiede un’identità, si muove nel mondo e nello spazio.
Per questo ho deciso di darle una traiettoria.
Uno spazio.
Un confine che, paradossalmente, spero sempre possa essere spezzato dalle vostre idee che li leggete.
Torniamo in bolla. Mi stavo perdendo.
Ero rimasto alle mie corse senza vesti.
Beh, vorrei dirvi che non ho perso quest’abitudine. Per lo meno in senso figurato.
Lo farò ogni volta che vi parlerò.
Mi denuderò.
Offrirò le parti più deboli di me.
O quelle di noi esseri umani.
Senza paura.
Così che un giorno potremo non averne tutti.
I fratelli Anderson scrissero una favola che, senza il mio volere, è rimasta impressa nel mio dna.

Parla di un re.
Di un imperatore vanitoso.
Un po’ come lo siamo tutti oggi,
soprattutto nell’era dei tanto affascinanti quanto diabolici social network.
Completamente dedito all’aspetto del suo aspetto esteriore,
tipico di chi si mostra come non è,
per lui, come per noi, il vestito che indossava era elemento imprescindibile.
Un giorno, due imbroglioni giunti in città, sparsero la voce di essere abili tessitori e di possedere un nuovo e formidabile tessuto, sottile leggero e meraviglioso. La sua peculiarità di risultare invisibile agli stolti.
Il re lo volle.
I suoi cortigiani, per non essere considerati e giudicati male, lodarono da subito il suo nuovo vestito. Non tanto perché lo vedessero, quanto più per non fare brutta figura e apparire ignoranti e fuori luogo.
L’imperatore così si fece preparare il suo vestito.
Una volta consegnato anch’egli però non fu in grado di vederlo, attribuendo la sua non visione all’indegnità di cui era cosciente e che non voleva certo manifestare.
Troppo ambizioso ed egocentrico per dire la verità, stette zitto.
Così si finse, al pari dei cortigiani, estasiato per il lavoro svolto.
Sfilò per la città, applaudito da tutti i sudditi. Coscienti di non vedere nulla, ma troppo spaventati per dirlo, impauriti anche loro di confessare la loro indegnità.
Fu invece un bambino,
simbolo di purezza e spontaneità,
a urlare:
“Il re è nudo!”,
spezzando l’incantesimo che tanto sembrava perfetto.
Perché mi piace questa storia?
Forse perché aiuta a denudarsi di tutti quei condizionamenti e falsità ingombranti, che tanto sembrano quel vestito invisibile indossato per sentirci al sicuro dalle nostre mancanze.
Mancanze che, solo illusoriamente, ci coprono di quello che siamo davvero.
Delle persone, a tratti bellissime, ma anche costituite dalle loro stranezze e dalle loro ombre.
Perché poi, la stranezza e la pazzia, sono talvolta solo un punto di vista.
L’urlo del bimbo è la spontaneità e la purezza che ci richiama ad essere quello che siamo.
Non tanto solo per affermarlo, ma per prenderne coscienza e poter iniziare un percorso. Magari di miglioramento. O per lo meno di trasformazione e di identificazione sincera.
Denudarsi significa anche guardarsi dentro, attraverso un atto di sana e curiosa esplorazione. Ha a che fare con la nostra fragilità, ormai troppo spesso abbandonata e nascosta sotto il tappeto.
Essa è invece un valore fondamentale nella nostra evoluzione: si presenta come quello stato di consapevolezza in grado di mostrarci come siamo, senza giudizio alcuno, per poi poter desiderare come vorremo essere. Gradino dopo gradino. Passo dopo passo.

Le cosiddette “pecore nere” della famiglia sono in realtà ricercatori nati da vie di liberazione per l’albero genealogico. Quei membri che non si adattano alle regole e tradizioni del Sistema Familiare, quelli che sin da piccoli cercavano di rivoluzionare le credenze andando contro ai cammini marcati dalle tradizioni familiari, quelli criticati, giudicati e incluso abbandonati, quelli che, in generale, sono chiamati a liberare l’albero da quelle storie ripetitive che frustrano generazioni intere. Le “pecore nere”, quelli che non si adattano, quelli che gridano ribellione, riparano e disintossicano e creano un nuovo e fiorito ramo.
Incontabili desideri repressi, sogni irrealizzati, talenti frustrati dei nostri antenati si manifestano nella loro ribellione cercando di realizzarsi.
L’albero genealogico, per inerzia, vorrà continuare a mantenere la parte tossica e castrata del suo tronco che rende la sua fioritura difficile e complicata.
Che nessuno ti faccia dubitare, prenditi cura della tua rarità come il fiore più prezioso del tuo albero. Sei il sogno realizzato di tutti i tuoi antenati.
Bert Hellinger
Forse l’avrete intuito ma questo articolo vuol essere una controtendenza.
Un modo diverso per esporsi.
Non come fanno in tanti (per carità, lo faccio anche io) che scansati se non sei figo.
Vuole essere invece un elogio alla stranezza.
Alle pecore nere come me.
Un elogio a quelli che non si adattano e gridano come pirati la loro ribellione!
