Gestione del tempo

Il potere dell’inazione

Il potere dell’inazione
26 Gennaio 2024

Oggi l’inazione, la contemplazione, l’ascolto e l’ozio (a me tanto caro) sono considerati forme passive e debolezze: non paiono avere alcun valore in un sistema che concepisce la vita esclusivamente in termini di lavoro e produzione

L’inazione non è però negazione, né semplice assenza d’azione. È piuttosto attenta osservazione, anche contemplativa.

L’ho imparato quando compresi ad esempio che non dobbiamo psicologizzare tutto, perché talvolta il male nasce soltanto nominandolo.

Ricordo ancora il settembre passato quando tornando dalla montagna nostra figlia Lucia iniziò dal nulla a strabuzzare gli occhi. Un comportamento strano, continuamente ripetuto, che ci mise preoccupazione.

La nonna disse subito di consultare uno psicologo.

La mia compagna ogni volta che il disturbo si manifestava me lo faceva presente, e io uguale con lei.

Mi resi però conto che Lucia, al tempo due anni, si accorgeva di questa nostra comunicazione.

Compresi, in seno a quello che studio e insegno, che la prima mossa da attuare era il silenzio, pur difficile che fosse.

In questo modo anche lei non si fissava su tale sintomo, con il rischio di accentuarlo.

Non abbiamo mai saputo cosa fosse, ma dopo dieci giorni scomparve, così come era arrivato.


Ho imparato tale pratica anche nella vita di coppia.

Ci sono volte in cui dei litigi e dei problemi sottesi è bene parlarne, altre in cui bisogna stare zitti e lasciar scorrere il tempo, onde evitare che le cose peggiorino.


Nel Problem Solving Strategico che uso vale la stessa cosa.

Il concetto di tentata soluzione infatti si rifà a tutte quelle soluzioni che mettiamo in atto cercando di risolvere un problema, ma che purtroppo non sono adatte e per questo lo irrigidiscono, se non addirittura peggiorano.

Ecco: anche in questo modello talvolta è bene stare fermi e non aggiungere legna al fuoco.


Se torno indietro nel tempo non mi è difficile ricordare dove appresi per la prima volta tale pratica. Era la filosofia Zen.

Da lì ho iniziato a studiare la dottrina Buddhista, e in parte a praticarla grazie a un maestro e la condivisione in un Sangha.

Ho nel tempo imparato ad amare l’ozio, ovvero quella grande rivoluzione che per essere attuata, al contrario delle altre, richiede di stare fermi.


Certo oggi è difficile, e lo dico anche per me.

La vita intensa significa soprattutto più prestazione o più consumo e l’essere umano arriva addirittura a sentirsi in colpa quando non produce, al di là del ragionevole bisogno di denaro.

Anche il tempo libero è assoggettato alla produzione, è un derivato del lavoro.

Progetta, sviluppa, scandisci, posta e prenditi tutte le relative incazzature per quando le cose non vanno come vorresti.

Riempi, attivati e consuma energia, a tal punto che potrebbe servirti una vacanza dalle tue vacanze. Peccato che cadresti nella stessa spirale.


Il filosofo sudcoreano Byung-chul Han afferma che il nocciolo fondamentale dell’inazione è la «libertà da qualsiasi scopo o utilità», che è «la formula basilare della felicità».

La libertà dallo scopo conferisce all’esistenza umana «splendore e festosità».

Il digiuno, l’ascesi, le pratiche rituali, la mémoire involontaire(Proust), il sogno sono espressione dell’inazione e ci elevano al di sopra della vita intesa come sopravvivenza e bisogno.

La domanda è: siamo disposti a tale rinuncia?

Abbiamo abbastanza creatività da pensare in modo diverso?

E infine: saremo in grado di costruire il giusto equilibrio tra fare e contemplare?

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